Breve descrizione di alcune Tecniche calcografiche utilizzate nelle mie incisioni.
Il termine calcografia, deriva dal greco KAESCóS (rame) e GRAFIA (scrittura) ed indica l’incisione ad incavo su qualsiasi metallo, ottenuta con le tecniche più svariate.
La più antica di queste tecniche è quella a bulino: Giorgio Vasari afferma che il fiorentino Maso Finiguerra (1426-1464) sarebbe stato l’inventore di questa singolare espressione artistica. Tra gli artisti incisori del Rinascimento spiccano i nomi di Antonio Pollaiolo, di Andrea Mantegna, quello dei veneziani Benedetto Montagna, Jacopo dei Barbari (che lavorò con il Dürer), Giulio e Domenico Campagnola, ecc. Con Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, nel ‘500, l’incisione per corrosione (Acquaforte) acquistò una perfezione tecnica tale, da poter indicare in quest’artista il vero fondatore dell’incisione italiana ad acquaforte, mentre l’incisione a punta secca ebbe tra i primi efficaci cultori Andrea Meldolla detto lo Schiavone. Nel sec. XIX la calcografia ebbe un grande sviluppo e non potendosi raggiungere con le tecniche del bulino e dell’acquaforte certi effetti a carboncino e sanguigna, vennero a svilupparsi altri procedimenti (vernice molle, maniera nera o mezzatinta).
BULINO
La lastra utilizzata per l’incisione a bulino deve essere ben levigata e non necessita di nessun’altra preparazione. Lo strumento è un sottile scalpello di acciaaio temperato, esso ha forme diverse: romboidale, ovale, ecc. Esso è infisso in un manico di legno a sezione emisferica che appoggia nel palmo della mano. Il bulino, guidato da pollice e indice, intaglia il metallo ed asporta un lievissimo ricciolo sollevato dalla spinta e dalla pressione dello strumento stesso.
ACQUAFORTE
La tecnica dell’acquaforte fu probabilmente inventata nei paesi di lingua tedesca al principio del XVI secolo. Alle origini dell’acquaforte è legato anche il nome del più grande pittore tedesco, Albrecht Dürer, che fra il 1515 ed il 1519 incise sette acqueforti su lastre di ferro. Ad opera del grande Rembrandt, l’acquaforte raggiunse, nel secolo successivo, un grado ineguagliabile di raffinatezza tecnica ed artistica per la complessità degli effetti di chiaroscuro. Nel ‘700 l’incisione all’acquaforte fu praticata con mirabili risultati da quattro grandi maestri: i veneziani Giovan Battista Tiepolo, Canaletto, Giovan Battista Piranesi e lo spagnolo Francisco Goya.
Tecnica dell’acquaforte. Ricoperta la lastra di rame o zinco con uno strato sottile di vernice nera a base di cera, mastice e asfalto ed affumicata a caldo, la si protegge nel retro con la stessa o altra vernice isolante. Si disegna con punte di acciaio scalfendo la vernice che protegge il metallo senza intagliarlo. Infine si immerge la lastra nell’acido (può essere acido nitrico diluito con acqua oppure una miscela chiamata “mordente olandese”): il metallo scoperto dalla punta, è eliso dall’acido stesso e aumentando la durata dell’immersione aumenta la profondità dei solchi. Quest’ultima operazione si chiama morsura. La lastra viene poi pulita, inchiostrata e passata lentamente al torchio per la stampa su carta, che deve essere preventivamente bagnata. Una sola immersione provoca solchi tutti ugualmente profondi; per ottenere segni di diverso valore è perciò necessario lavorare variamente la lastra; con punte diverse, dividendo l’operazione di morsura in più fasi, ciascuna di diversa durata. L’acquaforte può integrarsi con altre tecniche quali l’acquatinta, la punta secca, ecc.
ACQUATINTA
L’invenzione di questa tecnica è attribuita all’incisore francese Jan Baptiste Le Prince (1734 - 1781). La tecnica dell’acquatinta ebbe larga diffusione nella seconda metà del ‘700 e nei primi decenni dell’800 ad opera dello stesso Le Prince e di altri incisori francesi: Louis Philibert Debocourt e Jean Jazet che portarono l’acquatinta ad un’altissimo grado di perfezione tecnica.
Tecnica dell’acquatinta. I metodi di preparazione della lastra variano a seconda dei risultati voluti. Dopo aver sgrassato accuratamente la lastra, si fa cadere sulla stessa un sottile strato di colofonia o bitume, è necessario fissare immediatamente la polvere resinosa sulla lastra esponendola al calore di un fornello o di una candela a stoppini multipli. Scaldando la lastra sulla fiamma, i minutissimi grani fondono aderendo alla superficie. La colofonia dopo l’operazione di cottura risulterà cristallina e trasparente; il bitume, invece, dopo aver assunto una colorazione diversa da quella iniziale ritornerà lucente. Restano così scoperti innumerevoli piccolissimi interstizi attraverso i quali la soluzione acida intaccherà il metallo. Ottenuta la granitura, si disegna coprendo con una vernice isolante le parti che alla stampa devono risultare bianche, poi s’immerge la lastra nell’acido lasciandovela tanto più a lungo quanto più profonde si desidera che siano le cavità minutissime da esso prodotte (morsura). Dopo la prima morsura si disegna ancora, coprendo le parti corrispondenti ai primi toni grigi, e si prosegue nelle morsure e nelle coperture fino ai toni più scuri.
VERNICE MOLLE o MANIERA A MATITA
La realizzazione di questa tecnica avviene utilizzando la vernice molle che, alla stampa, dà un segno simile alla traccia della matita sulla carta.
Tecnica della vernice molle. Sgrassata accuratamente la lastra, si stende su di essa un velo di cera molle distribuita con rullo di cuoio o tamponi di seta. Sulla lastra così verniciata e affumicata si colloca il disegno precedentemente eseguito su carta un po' granulosa. Avendo cura di non toccare con le mani o con qualsiasi altro oggetto la lastra, si ricalca il disegno sia sulle zone tonali, chiaroscurali e sulle linee ed esercitando maggiore o minore pressione con la matita, la vernice distesa sulla lastra, si attacca sul foglio di carta filigranata, lasciando la lastra, più o meno scoperta. Finito il disegno, sul foglio stesso la vernice avrà lasciato una traccia corrispondente al disegno ricalcato dalla matita (papirocalco). L’acidatura della lastra alla vernice molle si ottiene per mezzo di “morsura piana” o “morsura per coperture” utilizzando preferibilmente il “mordente olandese” che non sprigiona bollicine le quali richiederebbero il soffregamento della lastra, sconsigliabile nella cera molle per la labilità della vernice.
MANIERA NERA o MEZZATINTA
Questa tecnica scoperta agli inizi del 1600 da Luigi Siegen fu molto usata in Inghilterra nel XVIII secolo.
Tecnica della maniera nera: Il procedimento di realizzazione di questa tecnica calcografica è completamente diverso dalle altre, perchè ricavata “dal nero” con graduali “lumeggiature” ottenute per schiacciamento e abrasione. Si prepara la lastra con un piccolo strumento detto BERCEAU. Premendolo considerevolmente sulla lastra lo si muove in tutte le direzioni; essendo completamente rigato, crea sulla lastra una sottilissima “barba”. Dopo questa preparazione, inchiostrando e stampando la lastra l’esemplare deve risultare nero. Con il brunitoio, il raschietto o con altro strumento si inizia a schiacciare la lastra nelle parti che si desiderano più o meno chiare. Con questa tecnica, per ottenere dei bianchi, è necessario eliminare completamente la grana preparata.
Il termine calcografia, deriva dal greco KAESCóS (rame) e GRAFIA (scrittura) ed indica l’incisione ad incavo su qualsiasi metallo, ottenuta con le tecniche più svariate.
La più antica di queste tecniche è quella a bulino: Giorgio Vasari afferma che il fiorentino Maso Finiguerra (1426-1464) sarebbe stato l’inventore di questa singolare espressione artistica. Tra gli artisti incisori del Rinascimento spiccano i nomi di Antonio Pollaiolo, di Andrea Mantegna, quello dei veneziani Benedetto Montagna, Jacopo dei Barbari (che lavorò con il Dürer), Giulio e Domenico Campagnola, ecc. Con Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, nel ‘500, l’incisione per corrosione (Acquaforte) acquistò una perfezione tecnica tale, da poter indicare in quest’artista il vero fondatore dell’incisione italiana ad acquaforte, mentre l’incisione a punta secca ebbe tra i primi efficaci cultori Andrea Meldolla detto lo Schiavone. Nel sec. XIX la calcografia ebbe un grande sviluppo e non potendosi raggiungere con le tecniche del bulino e dell’acquaforte certi effetti a carboncino e sanguigna, vennero a svilupparsi altri procedimenti (vernice molle, maniera nera o mezzatinta).
BULINO
La lastra utilizzata per l’incisione a bulino deve essere ben levigata e non necessita di nessun’altra preparazione. Lo strumento è un sottile scalpello di acciaaio temperato, esso ha forme diverse: romboidale, ovale, ecc. Esso è infisso in un manico di legno a sezione emisferica che appoggia nel palmo della mano. Il bulino, guidato da pollice e indice, intaglia il metallo ed asporta un lievissimo ricciolo sollevato dalla spinta e dalla pressione dello strumento stesso.
ACQUAFORTE
La tecnica dell’acquaforte fu probabilmente inventata nei paesi di lingua tedesca al principio del XVI secolo. Alle origini dell’acquaforte è legato anche il nome del più grande pittore tedesco, Albrecht Dürer, che fra il 1515 ed il 1519 incise sette acqueforti su lastre di ferro. Ad opera del grande Rembrandt, l’acquaforte raggiunse, nel secolo successivo, un grado ineguagliabile di raffinatezza tecnica ed artistica per la complessità degli effetti di chiaroscuro. Nel ‘700 l’incisione all’acquaforte fu praticata con mirabili risultati da quattro grandi maestri: i veneziani Giovan Battista Tiepolo, Canaletto, Giovan Battista Piranesi e lo spagnolo Francisco Goya.
Tecnica dell’acquaforte. Ricoperta la lastra di rame o zinco con uno strato sottile di vernice nera a base di cera, mastice e asfalto ed affumicata a caldo, la si protegge nel retro con la stessa o altra vernice isolante. Si disegna con punte di acciaio scalfendo la vernice che protegge il metallo senza intagliarlo. Infine si immerge la lastra nell’acido (può essere acido nitrico diluito con acqua oppure una miscela chiamata “mordente olandese”): il metallo scoperto dalla punta, è eliso dall’acido stesso e aumentando la durata dell’immersione aumenta la profondità dei solchi. Quest’ultima operazione si chiama morsura. La lastra viene poi pulita, inchiostrata e passata lentamente al torchio per la stampa su carta, che deve essere preventivamente bagnata. Una sola immersione provoca solchi tutti ugualmente profondi; per ottenere segni di diverso valore è perciò necessario lavorare variamente la lastra; con punte diverse, dividendo l’operazione di morsura in più fasi, ciascuna di diversa durata. L’acquaforte può integrarsi con altre tecniche quali l’acquatinta, la punta secca, ecc.
ACQUATINTA
L’invenzione di questa tecnica è attribuita all’incisore francese Jan Baptiste Le Prince (1734 - 1781). La tecnica dell’acquatinta ebbe larga diffusione nella seconda metà del ‘700 e nei primi decenni dell’800 ad opera dello stesso Le Prince e di altri incisori francesi: Louis Philibert Debocourt e Jean Jazet che portarono l’acquatinta ad un’altissimo grado di perfezione tecnica.
Tecnica dell’acquatinta. I metodi di preparazione della lastra variano a seconda dei risultati voluti. Dopo aver sgrassato accuratamente la lastra, si fa cadere sulla stessa un sottile strato di colofonia o bitume, è necessario fissare immediatamente la polvere resinosa sulla lastra esponendola al calore di un fornello o di una candela a stoppini multipli. Scaldando la lastra sulla fiamma, i minutissimi grani fondono aderendo alla superficie. La colofonia dopo l’operazione di cottura risulterà cristallina e trasparente; il bitume, invece, dopo aver assunto una colorazione diversa da quella iniziale ritornerà lucente. Restano così scoperti innumerevoli piccolissimi interstizi attraverso i quali la soluzione acida intaccherà il metallo. Ottenuta la granitura, si disegna coprendo con una vernice isolante le parti che alla stampa devono risultare bianche, poi s’immerge la lastra nell’acido lasciandovela tanto più a lungo quanto più profonde si desidera che siano le cavità minutissime da esso prodotte (morsura). Dopo la prima morsura si disegna ancora, coprendo le parti corrispondenti ai primi toni grigi, e si prosegue nelle morsure e nelle coperture fino ai toni più scuri.
VERNICE MOLLE o MANIERA A MATITA
La realizzazione di questa tecnica avviene utilizzando la vernice molle che, alla stampa, dà un segno simile alla traccia della matita sulla carta.
Tecnica della vernice molle. Sgrassata accuratamente la lastra, si stende su di essa un velo di cera molle distribuita con rullo di cuoio o tamponi di seta. Sulla lastra così verniciata e affumicata si colloca il disegno precedentemente eseguito su carta un po' granulosa. Avendo cura di non toccare con le mani o con qualsiasi altro oggetto la lastra, si ricalca il disegno sia sulle zone tonali, chiaroscurali e sulle linee ed esercitando maggiore o minore pressione con la matita, la vernice distesa sulla lastra, si attacca sul foglio di carta filigranata, lasciando la lastra, più o meno scoperta. Finito il disegno, sul foglio stesso la vernice avrà lasciato una traccia corrispondente al disegno ricalcato dalla matita (papirocalco). L’acidatura della lastra alla vernice molle si ottiene per mezzo di “morsura piana” o “morsura per coperture” utilizzando preferibilmente il “mordente olandese” che non sprigiona bollicine le quali richiederebbero il soffregamento della lastra, sconsigliabile nella cera molle per la labilità della vernice.
MANIERA NERA o MEZZATINTA
Questa tecnica scoperta agli inizi del 1600 da Luigi Siegen fu molto usata in Inghilterra nel XVIII secolo.
Tecnica della maniera nera: Il procedimento di realizzazione di questa tecnica calcografica è completamente diverso dalle altre, perchè ricavata “dal nero” con graduali “lumeggiature” ottenute per schiacciamento e abrasione. Si prepara la lastra con un piccolo strumento detto BERCEAU. Premendolo considerevolmente sulla lastra lo si muove in tutte le direzioni; essendo completamente rigato, crea sulla lastra una sottilissima “barba”. Dopo questa preparazione, inchiostrando e stampando la lastra l’esemplare deve risultare nero. Con il brunitoio, il raschietto o con altro strumento si inizia a schiacciare la lastra nelle parti che si desiderano più o meno chiare. Con questa tecnica, per ottenere dei bianchi, è necessario eliminare completamente la grana preparata.